Il 29 gennaio 1979 un
commando di Prima Linea uccide, a Milano, il Sostituto Procuratore Emilio
Alessandrini, all’angolo tra Viale Umbria e Via Muratori.
L'omicidio colpisce
l’opinione pubblica: Alessandrini è uno dei magistrati più stimati
del Tribunale di Milano.
Nel corso della sua
carriera si è occupato delle inchieste più scottanti: quelle sul terrorismo di
sinistra, sugli scandali finanziari legati al Banco Ambrosiano, sui servizi
segreti deviati ma soprattutto quella sulla “madre di tutte le stragi”,
l’attentato alla sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura di Piazza Fontana
a Milano, il 12 dicembre 1969. È lui, insieme ai colleghi Gerardo D’Ambrosio e
Luigi Fiasconaro, a riprendere in mano nel 1972 l’inchiesta sulla strage,
imboccando la pista della destra eversiva.Mesi
prima, nel covo del terrorista Corrado Alunni, la Digos aveva trovato una foto
del giudice Alessandrini. Che però morì senza scorta. Poche
ore dopo l'attentato, Prima Linea rivendicò l'azione con alcune
telefonate a quotidiani. La rivendicazione citava: «… Era una delle figure centrali che il comando
capitalistico (lo Stato, n.d.r) usa per rifondarsi come macchina…efficiente …»
DA: “ In ricordo di Emilio Alessandrini”
di Armando SPATARO, 6 /12/2000
Emilio ALESSANDRINI,
venne ucciso da un “commando” di Prima linea, il 29 gennaio 1979 a Milano,
attorno alle 8.15, dopo che aveva appena accompagnato a scuola, come ogni
mattina, suo figlio Marco… P.L. rivendicò l'omicidio spiegando, anche in quell’occasione, che i
veri nemici del proletariato non erano i persercutori ottusi e reazionari delle
“avanguardie ” comuniste, ma quei giudici democratici e riformisti che, come
Emilio, con la loro attività e la personale credibilità, consentivano al
sistema di esistere. Emilio era proprio uno così. Sin dall’inizio della sua carriera
di sostituto a Milano, era, nell'ufficio, la cerniera tra i giovani… e gli
anziani … Ma Emilio era pure un osservatore attento
dell'evoluzione del costume in relazione ai problemi della giustizia penale…
Oggi, penso, reagirebbe sdegnato al moto di xenofobia che si diffonde nel
paese, alla mancanza di solidarietà verso chi soffre ed inviterebbe tutti,
autorevolmente, a volare più in alto ed a guardare il mondo intero, senza
limitarsi al proprio particolare ed angusto osservatorio.
Ero di turno esterno il
29 gennaio 1979 e quando, a poche centinaia di metri dall’edificio in cui
entrambi abitavamo, arrivai all'incrocio dove la sua auto bloccava il traffico,
con lo sportello aperto e la polizia attorno, guardai quell'uomo così giovane,
accasciato sul volante e, inerte anch’io, pensai
immediatamente a quando, un anno e mezzo prima, mi aveva discretamente
accompagnato nell'aula della Corte d’Assise dove stava per iniziare il processo
al nucleo storico delle BR… Nel giugno del ’77, stava per iniziare la celebrazione
del processo di Milano a carico di Curcio, Mantovani ed altri nomi storici del
vertice delle bierre: mi incaricarono di sostenere l'accusa, ma Emilio fu
incaricato di farmi da tutore (non me lo disse, ma per me era chiarissimo). Mi
accompagnò, dunque, in aula e, in attesa che la Corte entrasse, si collocò
discretamente alle mie spalle… Mi vide respingere a brutto muso il solito
gruppo dei soliti avvocati di Curcio & c., che, pur revocati… pretendevano
da me l'autorizzazione al colloquio con i loro assistiti. Non mi conoscevano e
mi dissero che, se avessi insistito nel negare quel permesso, "avrebbero
riferito a Curcio che il PM non voleva che i suoi difensori parlassero con
lui" . Risposi che sarebbe stato preferibile aggiungere anche il nome del
PM : glielo scrissi su un pezzo di carta, consegnai loro il bigliettino e li
congedai: si allontanarono senz’altro aggiungere. Emilio mi si avvicinò e … mi
diede una pacca sulla schiena e se ne uscì dall'aula sorridendo… Emilio era
così con tutti, la sua umanità era straripante : non c’era un Natale o una
festa “raccomandata” in cui dimenticasse di andare a trovare il centralinista
cieco del Palazzo di Giustizia…per fargli gli auguri, regalargli il panettone
ed abbracciarlo … non c’era giovane collega, bisognoso di consigli, cui non
dedicasse ore preziose del suo lavoro; e tanti erano i condannati, in processi
da lui istruiti, che spesso andavano a salutarlo per ringraziarlo della umanità
che aveva con loro dimostrato e che non avrebbero mai dimenticato…Ma il nome di
Emilio Alessandrini è indissolubilmente legato alle indagini per la strage di
Piazza Fontana…Lui ne parlava poco: non gli piaceva, credo, rinverdire gli
allori, né ripercorrere una vicenda che non considerava definita ed il cui
esito processuale non poteva certo ritenere soddisfacente. E’ sempre stato
Gerardo D’Ambrosio, giudice istruttore in quella vicenda, a raccontarmi in più
occasioni del suo eccezionale acume investigativo, della sua capacità di
muoversi intelligentemente nel grigio territorio delle deviazioni e coperture
istituzionali e della sua incredibile memoria…Sembrava impossibile, a tutti,
che un’organizzazione che si autodefiniva “di sinistra”, sia pure eversiva,
potesse colpire un uomo come Emilio che dell’ansia di progresso e democrazia
era una delle bandiere, non solo all’interno della magistratura.
Ma era, quella,
l’incredulità di tutti i congiunti e degli amici delle tante vittime del
terrorismo di sinistra, l’inconsapevole ed inespresso bisogno di attribuire le
morti di Alessandrini, Galli, Tobagi e di altri ancora a “menti raffinate”, a
complotti istituzionali piuttosto che, come in effetti era, alla folle
ideologia di una folle stagione, credo irripetibile ad onta della persistenza,
nel tessuto sociale, di concause scatenanti il terrorismo.
Tutti ricordano l’addio ad Emilio:
Milano intera al suo funerale, strade e piazze stracolme di gente che lo
applaudiva, una città ferma in quel freddo mattino d’inverno…Penso che sia
stata proprio la reazione
della gente a quell’assurdo omicidio ed a quello di pochi giorni prima di Guido
Rossa (avvenuto il 24 gennaio 1979, a Genova) ad innescare la fine del
terrorismo…
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